Bill Sherman
Aby Warburg (1866-1929) partì dalla ricerca delle radici antiche della pittura rinascimentale e finì per modificare l’idea stessa della possibile identità, e delle attività, di una biblioteca moderna. Warburg è noto ai più per i suoi studi pionieristici nell’ambito della storia dell’arte, ma a permanere nel tempo è innanzitutto la sua straordinaria collezione di libri, fotografie e materiale documentario. Istituita ad Amburgo negli anni venti, con l’ascesa al potere del nazismo, nel 1933, la cosiddetta Kulturwissenschaftliche Bibliothek Warburg [Biblioteca Warburg di Scienza della Cultura], o KBW, dovette essere trasferita a Londra, dove oggi rappresenta il fulcro dell’istituto che reca il nome del suo fondatore e porta avanti la sua innovativa linea di ricerca sulla memoria culturale.
Come è noto, Warburg cedette al fratello minore Max il suo diritto di nascita alla gestione della banca di famiglia, chiedendo in cambio qualsiasi libro avesse desiderato, un “assegno in bianco” (come lo descrisse poi Max) che portò alla costituzione di una biblioteca privata di oltre sessantamila volumi. Da studente, a Strasburgo, Aby scoprì la forza del nesso esistente tra i libri, gli edifici e la ricerca interdisciplinare. Durante la stesura della sua tesi di dottorato sulla rinascita dell’antichità nei dipinti di Botticelli, ebbe la possibilità di aggirarsi liberamente nella biblioteca universitaria, con le sue cellette attigue dedicate alle diverse discipline. Come spiegò poi il suo collega (nonché primo direttore del Warburg Institute) Fritz Saxl, «andava da una biblioteca all’altra, seguendo gli indizi che lo conducevano dall’arte alla religione, dalla religione alla letteratura, dalla letteratura alla filosofia». Tornato ad Amburgo, si risolse a creare in casa propria «una biblioteca che riunisse tutti i rami della storia della civiltà umana, per poter vagare da uno scaffale all’altro». Nel creare una nuova scienza dell’immagine Warburg rivolse la sua sconfinata fantasia non al museo, alla galleria o allo studio, ma alla biblioteca.
Se l’accostamento delle discipline era insolito, il sistema di organizzazione era unico. I libri di Warburg erano inseriti in una struttura mutevole dedicata a quattro categorie generali: Immagine, Parola, Orientamento e Azione; la sistemazione dei libri all’interno delle singole sezioni seguiva quella che Warburg chiamava la “legge del buon vicinato” (che costringeva i lettori a curiosare, in quanto, secondo lui, il libro di cui avevano bisogno spesso era proprio accanto a quello che stavano cercando).
Nel 1921 Saxl curò il primo volume pubblicato dalla Biblioteca Warburg, offrendo, nel saggio introduttivo (Die Bibliothek Warburg und ihr Ziel) uno scorcio fulmineo e affascinante sull’approccio pionieristico di Warburg. Presentando lo schema di un unico scaffale, mostrò come la religione, la filosofia e la storia naturale si congiungessero in modo che il lettore potesse trascorrere non soltanto dal mondo antico al presente, ma anche dalla cultura europea a quella araba. Nel corso degli anni venti, Saxl sviluppò lo schema generale di Warburg fino a produrre il dettagliato sistema di classificazione seguito (con pochissime modifiche) ancora oggi. Nella sua Grundriss der Bücheraufstellung und Bildersammlung [Pianta della disposizione dei libri e della collezione di immagini], Saxl delinea trentadue sezioni che vanno da «Das Symbol im Dienste der Orientierung» [Il simbolo al servizio dell’orientamento] alla «Morphologie des sozialen Lebens» [Morfologia della vita sociale], che si conclude con il teatro, l’opera e la musica.
Warburg, certo, aveva interessi enciclopedici, e insieme ai suoi collaboratori intendeva esplicitamente far rivivere l’ideale classico del sapere circolare [en kyklos paideia]. Eppure, quando, nel 1926, pensò a un nuovo edificio per la sua traboccante biblioteca, diede alla memorabile sala di lettura una forma ellittica anziché circolare. Progettata per riflettere la cosmologia di Keplero e ispirata da una conversazione con Albert Einstein, la sala era ricca di accoppiamenti dinamici, come il rapporto tra la superstizione mitica e il calcolo scientifico, e il nesso essenziale tra ricerche ed esposizioni. Non sorprende che Alberto Manguel abbia definito la sala lettura di Warburg lo spazio librario più magico del mondo.
Warburg usò una sezione trasversale del nuovo edificio per sperimentare diversi sistemi di organizzazione, appuntando a mano non solo la collocazione dei soggetti all’interno dei piani, ma anche il conteggio complessivo dei libri che ricadevano nelle varie categorie. Il 24 luglio 1926, quando annotò gli ultimi disegni dell’architetto Gerhard Langmaack, contò trentanovemila volumi da sistemare sugli scaffali della KBW e altri cinquemila che sarebbero rimasti nella sua abitazione, nel palazzo adiacente.
Il tema ultimo di una simile collezione era la memoria culturale, trasversale alle arti e alle scienze; l’obiettivo ultimo delle istituzioni era coltivare quello che Warburg chiamava denkraum [spazio del pensiero]. Per questo, Warburg provvide a che il genius loci fosse la dea greca Mnemosine: l’incisione del suo nome sopra la porta d’ingresso l’avrebbe ricordata a chiunque fosse entrato non solo come dea della memoria, ma come madre delle nove muse. Warburg sperava che questa biblioteca servisse insieme da osservatorio culturale e da tempio delle muse, «una torretta corazzata della riflessione».
Provvide inoltre a che la Bibliothek [biblioteca] fosse affiancata da una ricca Photothek [collezione fotografica]. Gli schemi originari – oggi conservati solo in forma di lastre di vetro all’interno dell’Istituto Warburg – mostrano come le due collezioni fossero strettamente allineate, con una struttura simile derivante dai quattro concetti fondativi di Warburg. Dopo il trasferimento a Londra, la collezione fotografica fu sviluppata per linee iconografiche e i titoli originali di Warburg vennero sostituiti da un elaborato sistema di classificazione abbastanza ampio da indirizzare i ricercatori verso immagini simboliche di qualsiasi tema, indipendentemente dall’epoca, dal luogo, dal mezzo o dallo stile.
Se la biblioteca di Warburg nacque come collezione privata, ispirò alcuni degli studiosi più eminenti del periodo ancor prima di lasciare Amburgo. E, dalla sua nuova sede di Bloomsbury, continua a fungere da crogiolo per la creatività di molti tra i nostri studiosi, artisti e curatori più originali. Uno dei suoi primi e più importanti lettori fu Ernst Cassirer, titolare della prima cattedra di Filosofia della nuova Università di Amburgo. Quando la visitò per la prima volta nel 1921, uscì un’ora dopo dicendo: «Questa biblioteca è pericolosa. Dovrò evitarla del tutto o rinchiudermi qui per anni»
Decise di tornarci e usò la Bibliothek Warburg come base per la scrittura del suo studio monumentale Filosofia delle forme simboliche, definendola «il punto d’Archimede della mia ricerca».
Il 13 giugno 1926 Cassirer dedicò il suo Individuo e cosmo nella filosofia del rinascimento a Warburg, in onore del suo sessantesimo compleanno e come tributo alla sua biblioteca esemplare:
[La Biblioteca Warburg] ci ha messo sotto gli occhi con una inusuale insistenza proprio il principio che deve valere in questa ricerca. La Biblioteca, nella sua costruzione e struttura spirituale, incarna infatti l’idea di una unione e di una unità metodiche di tutti gli ambiti […] Auspico dunque che l’organon della ricerca umanistica da Lei creato con la Biblioteca possa porci ancora a lungo domande sempre nuove.
Così effettivamente è avvenuto: tra i libri scritti dai successori di Cassirer tra le pareti della Biblioteca Warburg vi furono La storia dell’arte di Ernst Gombrich (il libro sull’arte più famoso e popolare mai pubblicato) e L’arte della memoria di Frances A. Yates (mai andato fuori stampa). Entrambi gli studiosi trascorsero gran parte della loro carriera presso l’Istituto Warburg e quando andarono in pensione donarono molti volumi alla biblioteca. Attraverso i loro libri la Biblioteca Warburg continua a esercitare il proprio fascino anche su tanti lettori e scrittori che non hanno mai messo piede tra i suoi magici scaffali, compreso Umberto Eco.
Aby Warburg e l'idea della biblioteca