Riccardo Fedriga
Ma li ha letti tutti?
«Come Flaubert adoro la stupidità», era solito celiare Eco, con quell’aria, incredula ma composta, che hanno i piemontesi quando intendono spiazzare l’interlocutore con una ventata di buon senso velata di un sano scetticismo. Tra le domande che gli venivano poste più spesso, due in particolare provocavano quella reazione. La prima riguardava la morte del libro – per la quale, dopo l’11 settembre 2001, Eco ringraziava Bin Laden e i millenarismi prossimi venturi per averne preso il posto. L’altra domanda era più complessa. Anche perché implicava una maggiore conoscenza, se non proprio intimità, quantomeno perché posta di fronte ai trentacinquemila volumi della sua imponente biblioteca di lavoro e ai milleduecento circa della Bibliotheca Semiologica, Curiosa, Lunatica, Magica & Pneumatica, e non poteva quindi risolversi con un’alzata di ciglia. La risposta era dunque più articolata. Vale la pena di riportare le parole di Eco.
A chi viene a casa mia per la prima volta, scopre la mia biblioteca e non trova niente di meglio che chiedermi “li hai letti tutti?”, io ho diversi modi di rispondere. Uno dei miei amici rispondeva “di più, signore, molti di più”. Per parte mia, ho due risposte. Una è “No, questi sono solo quelli che devo leggere la settimana prossima. Quelli che ho già letto sono in università. La seconda risposta è: “Non ho letto nessuno di questi libri. Altrimenti perché li terrei?”.
Al questuante inopportuno si aprivano allora due possibilità: capire l’antifona, e ripiegare su un altro argomento; oppure, con un moto di orgoglio intellettuale cercare, con sprezzo di umiltà, di salire sulle spalle del gigante e rilanciare con: ma a cosa servono i libri? Qui la cosa iniziava a farsi seria, perché prima bisognava definire cosa fossero. Per Eco i libri sono macchine. Macchine per produrre interpretazioni. Macchine per produrre memoria. Macchine per produrre identità. Come diceva Paul Valéry: «Io sono, in quanto me stesso, a ogni istante, un enorme fatto di memoria, il più generale che sia possibile». Ergo, i libri servono a produrre noi stessi e gli altri. Come ciò avvenga, Eco lo spiega facendo riferimento al Fedro di Platone. Nel dialogo, Socrate narra del dio Teuth che mostra a un incredulo faraone la più grande invenzione tecnologica: la scrittura. Noi nella scrittura ci nuotiamo da millenni ma in una società orale, dovette davvero essere rivoluzionaria. Sia come sia, il faraone rifiutò il dono di Teuth (confermando così la tesi per cui gli aristocratici non hanno gran fiuto per gli affari). Dunque disse no, ed è il motivo per cui lo fece che intrigava Eco. No, perché tra i grandi beni dell’uomo vi è la memoria; la memoria per il faraone è solo una cosa interiore; pertanto, se si sposta su un supporto esterno, per quanto ben “graffiato” dalla scrittura, ecco che si perdono, e in un solo colpo, interiorità e memoria. Trasferita all’esterno, la parola non viene tramandata ma “mineralizzata”, scrive Platone, diventa una traccia su qualcosa che la trasporta in modo accessorio, come un rotolo di papiro, un libro…
Insomma, il principio è quello per cui la protesi indebolisce l’organo, il quale trasferisce all’esterno le proprie abilità mentali che, prima o poi, si perdono: come qualcosa che ci esca per caso dalle tasche. Qui agisce la lettura di Eco. Chi ha mai detto che la memoria, sede della nostra attività mentale, sia solo ed esclusivamente interiore? Ma soprattutto: se pure una stele è difficile da trasportare – e comunque come prova quella di Rosetta può essere sede di diversi modi di trasferire conoscenze che si parlano tra loro anche senza muoversi – cosa diremmo nel caso di un libro? Che anch’esso è una mineralizzazione della memoria? Una sua pietrificazione?
I libri sono riproducibili, estendono e stratificano la lettura. Con i libri nasce il mercato, il commercio, il concetto di autore e i suoi diritti. Essi aumentano le memorie individuali in una memoria collettiva, esterna e plurale, resa possibile da una tecnologia che non è per niente accessoria. Anzi, essa è essenziale, perché è dai libri, vere e proprie tracce materiali, che si deve partire per costruire la memoria e non, piuttosto, da una sorta di edizione primordiale, figlia di un altrettanto mitico unico documento testuale che si degrada mano a mano che s’incarna nelle sue manifestazioni esteriori. [...]
Il saggio prosegue nel catalogo: L’IDEA DELLA BIBLIOTECA. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca Nazionale Braidense, stampato dall'editore Scalpendi. E' possibile acquistarlo presso le librerie e presso Bottega Brera, il design and bookshop accessibile direttamente dal cortile d’onore del Palazzo di Brera, via Brera 28, Milano.