Milo Temesvar, il prete Gianni e altre creature a cui credere. La scrittura di Umberto Eco, tra invenzione e realtà

Anna Maria Lorusso

Che la narrativa di Umberto Eco sia una narrativa enciclopedica è stato detto da più parti; è percezione comune non solo di studiosi ma anche di giornalisti e semplici lettori: nei romanzi di Umberto Eco trovia­mo la filosofia, la storia, i feuilleton d’antan, l’erudizione, la cultura pop… strati e strati di cultura, che vanno dai riferimenti all’attualità alla citazione coperta dei testi più antichi della nostra cultura classica o medievale. E la mostra di cui questo volume rende conto lo attesta.
Ciò che vorremmo evidenziare nelle pagine che seguono è, però, come questa rete enciclopedica – in cui fantasie, studi e fatti storici si intrecciano con pari dignità – non sia solo un bacino cui attingono i romanzi, bensì una più ampia concezione del mondo che, nella sua relazionalità, non fa distinzioni di sostanza tra cronaca e invenzione, tra logica e narrazione, tra vero e verosimile, tra fatti e interpretazioni sembrerebbe di poter dire (con un lessico che suona forse ormai un po’ datato), e non perché tutto sia equivalente, ma perché tutto può cambiare ruolo e posizione, a seconda di come retoricamente viene presentato. Una burla può diventare il motore della Storia (e Baudolino lo racconta), un piano partorito da menti paranoiche può mettere in moto conflitti e delitti, così come il personaggio di un romanzo può sollecitare riflessioni filosofiche e l’immaginazione di un fatto sorprendente (come deve essere stato la prima volta trovarsi di fronte a dei cavalli? Cosa devono aver pensato i dotti che si sono trovati a definire cos’era un ornitorinco?) può mettere in moto complesse teorizzazioni filosofiche.
Questa continuità tra finzione e verità, immaginazione e realtà, è da Eco non solo assunta e messa in pratica, ma in alcuni contesti esplicitamente teorizzata; in particolare in riferimento alla questione del falso. In questo volume ne ha già parlato Valentina Pisanty, che si è concentrata in particolare sui Protocolli dei Savi Anziani di Sion.

Menzogne, falsi, finzioni
Il problema del falso è per Eco una sorta di ossessione teoretica: come è possibile che la produzione discor­siva possa farsi autonoma dalla realtà ed essere comunque efficace? Come può accadere che il vero venga platealmente vinto, in alcune circostanze, dal falso? Qual è la forza del falso (come Eco ha intitolato il suo più programmatico saggio su questo argomento, oggi in Eco 2002)?
La questione del falso passa, nella riflessione echiana, attraverso varie focalizzazioni: all’inizio si impone come problema della menzogna, successivamente come questione della falsificazione, infine come orizzonte di finzionalità.
Nel Trattato di semiotica generale (1975) Eco aveva in un certo senso posto le premesse semiotico-epistemologiche di tutte le sue successive riflessioni sul falso: i significati possono adeguatamente essere compresi solo come unità culturali, ovvero elementi di un sistema che trova proprio nella sua sistematicità (dunque nella sua dimensione d’insieme) e nella sua socialità (come prodotto di pratiche di produzione e strumento di pratiche di comunicazione) la sua ragion d’essere. Tale sistema non è un’ontologia in senso tradizionale, non trova corrispondenza in un mondo estensionale e per questo consente una produzione semiotica che, in principio, è indipendente dalla realtà del mondo: «la semiotica, in principio, è la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire» (Eco 1975, p. 26), dice Eco in una frase che è quasi diventata un adagio, svincolando per sempre la semiosi dalla referenzialità e dalla corrispondenza al vero: fa parte del normale meccanismo della segnicità non fare distinzione tra vero e falso.

Nei Limiti dell’interpretazione (1990) Eco sviluppa queste premesse e riflette sui criteri che rendono un falso tale; come dirà con chiarezza, un falso non è tale per sue caratteristiche intrinseche, ma diventa tale – cioè assume lo statuto di discorso veritiero o discorso falsificante – in ragione di una serie di criteri che sono storici e culturali:

Presumibilmente il Constitutum Constantini (forse il falso più famoso della storia dell’Occidente) fu prodotto inizialmente non come documento falso, ma come esercizio retorico. Solo nel corso dei secoli successivi fu preso seriamente da sostenitori ingenui o fraudolenti della Chiesa Romana (De Leo 1974). Mentre non era una contraffazione all’inizio, lo è divenuto in seguito, e come contraffazione è stato poi contestato dal Valla. Qualcosa dunque non è un falso a causa delle sue proprietà interne, ma in virtù di una pretesa di identità. Così le contraffazioni sono prima di tutto un problema pragmatico (Eco 1990, p. 221).

Il ruolo delle logiche culturali è ripreso nel saggio già citato, “La forza del falso” in Sulla letteratura (2002). Qui Eco mostra quante false credenze hanno orientato e mosso il mondo, pur nella loro falsità; non c’è legame diretto tra verità ed efficacia del discorso: era erronea la credenza di Cristoforo Colombo circa le dimensioni della terra (ma proprio questo errore lo ha indotto a intraprendere la sua impresa); fantasiose e inadeguate erano molte carte del mondo medievali e quattrocentesche, inventata era la Lettera del prete Gianni, e pure – mappe e Lettera – hanno alimentato progetti e imprese verso terre lontane (ci torneremo tra poco); un falso era la Donazione di Costantino, che ho già citato, così come I Protocolli dei Savi Anziani di Sion (alla cui forza propulsiva Eco dedicherà Il cimitero di Praga).
Tutti questi “falsi” avevano dei pregi: una grande forza narrativa (la costruzione di mondi convincenti) o la capacità di confermare convinzioni già strutturate e consolidate (come nel caso della Donazione di Costantino o della Lettera del prete Gianni) e per questo ci sono voluti secoli per smontarli. La comunità ha gradualmente sottoposto a revisione queste “verità”, le ha sottoposte a verifica e così le ha falsificate. Nessun singolo è riuscito a smontarle ma a livello collettivo si è, a volte molto lentamente, imposto un nuovo paradigma.
La verità, infatti, è tale sempre e solo dentro un sistema di convinzioni, asserti e valori di cui la comuni­tà è portatrice e garante. È questo sistema ciò con cui le pratiche di falsificazione (nella doppia accezione di costruzione del falso e di decostruzione di falsi pretesi veri) devono confrontarsi. Eco scrive: «Noi pensiamo che nel mondo reale debba valere il principio di Verità (Truth), mentre nei mondi narrativi deve valere il principio di Fiducia (Trust). Eppure anche nel mondo reale il principio di Fiducia è tanto importante quanto il principio di Verità» (Eco 1994, trad. it. p. 109).
C’è una forza narrativa delle finzioni, delle falsificazioni, che è una forza affabulatoria e mitologica, che sa ottenere fiducia, proiezione: la capacità di costruire una buona storia, convincente, articolata, piena di personaggi, fondata su valori che sembrano fuori discussione: una storia “adottabile” che, nella sua coerenza, riesce a spiegare molte cose. [...]

 

Il saggio prosegue nel catalogo: L’IDEA DELLA BIBLIOTECA. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca Nazionale Braidense, stampato dall'editore Scalpendi. E' possibile acquistarlo presso le librerie e presso Bottega Brera, il design and bookshop accessibile direttamente dal cortile d’onore del Palazzo di Brera, via Brera 28, Milano.