"La gente crede solo a quello che sa già". Umberto Eco, i Protocolli dei Savi anziani di Sion e la leggenda del complotto universale

Valentina Pisanty

Questa storia è stata già raccontata molte volte ma, come diceva Umberto Eco, bisogna ripeterla sempre da capo perché si radichi profondamente nel senso comune: un racconto ammonitore sulle derive criminali del pensiero paranoico, specie quando questo venga messo al servizio di un progetto autoritario. È una storia complessa e ramificata: la sua durata complessiva copre un arco di diversi secoli, dalla fine del Settecento ai giorni nostri, anche se il suo apice coincide con i decenni a cavallo tra Otto e Novecento; senza dire che i personaggi che la attraversano sono talmente numerosi che nessun racconto, per quanto dettagliato, potrà mai includerli tutti.
Eco l’ha narrata a più riprese, oltre che nei romanzi – Il pendolo di Foucault e Il cimitero di Praga – nelle Sei passeggiate nei boschi narrativi (1994), e in alcuni scritti occasionali.. Altri prima di lui – a partire da Norman Cohn, il cui Warrant for a Genocide (1967) resta tutt’oggi il principale testo di riferimento al quale tutti, incluso Eco, attingono per ottenere informazioni attendibili sulla stesura del documento attorno al quale ruota l’intera vicenda – hanno ricostruito la fittissima trama di dicerie, calunnie, finzioni, segreti, menzogne, doppi giochi, travestimenti, plagi, falsi storici e falsi diplomatici di cui è fatto quel patchwork testuale noto come Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Un centinaio di pagine mal assemblate, tratte da un’accozzaglia di fonti eteroclite, destinato a generare effetti catastrofici nei decenni successivi alla sua pubblicazione.
In estrema sintesi: nel 1905 il mistico russo Sergej Nilus dà alle stampe un libro intitolato Il grande e il piccolo: l’Anticristo è una possibilità politica imminente. In appendice Nilus acclude il presunto verbale in ventiquattro capitoli di un incontro segreto, tenutosi nel cimitero di Praga in data indefinita (ma collocabile verso la fine del XIX secolo), tra i «rappresentanti di Sion del 33° grado». A parlare è un misterioso Grande Vecchio che, rivolgendosi in prima persona a un’assemblea di anziani (i Savi di Sion, appunto), espone i risvolti di un complotto millenario per la conquista del mondo. Nel terzo protocollo si legge:


Oggi vi posso assicurare che siamo a pochi passi dalla nostra meta. Rimane da percorrere ancora una breve distanza e poi il ciclo del Serpente simbolico – emblema della nostra gente – sarà completo. Quando questo ciclo sarà chiuso, tutti gli stati europei vi saranno costretti come da catene infrangibili. Gli equilibri sociali ora esistenti andranno presto in sfacelo perché noi li alteriamo continuamente allo scopo di logorarli.


Con quali mezzi i Savi di Sion progettano di istituire il loro super-governo-ombra? Anche su questo punto i Protocolli – un falso bello e buono, come è evidente a chiunque non sia accecato dall’ideologia antisemita – sono spudorati: «con mezzi indiretti, subdoli e fraudolenti» (XI). La mano invisibile dell’ebraismo inter­nazionale – spiega il Vecchio ai Savi – è in azione dovunque e dappertutto: «notate il successo di Darwin, di Marx e di Nietzsche, che fu interamente preparato da noi» (II). E ancora: «Per impadronirci della pubblica opinione dovremo anzitutto confonderla al massimo grado mediante la espressione da tutte le parti delle opinioni più contraddittorie, affinché i gentili si smarriscano nel labirinto delle medesime» (V); «Nessuna informazione giungerà al pubblico senza essere stata prima controllata da noi» (XII); «Fummo noi che, col più completo successo, facemmo girare le teste scervellate dei gentili, colle nostre teorie di progresso, verso il socialismo» (XIII). Le stesse persecuzioni antisemite vengono attribuite al Piano di conquista:


Al momento attuale, se un governo assume un atteggiamento a noi ostile si tratta di una pura formalità; esso agisce essendo noi pienamente informati del suo operato e col nostro consenso, accordato perché le dimo­strazioni anti-semitiche ci sono utili per mantenere l’ordine fra i nostri fratelli minori (IX) […] Pur avendo sacrificato molta nostra gente, abbiamo dato al nostro popolo una posizione tale nel mondo, che esso non si sarebbe mai sognato di raggiungere. Un numero relativamente piccolo di vittime da parte nostra ha salvato la nostra nazione dalla distruzione (XV).


E così il complotto si espande in tutte le direzioni: inoculazione di malattie letali, riforma del sistema univer­sitario, manomissione dell’economia mondiale, costruzione di una rete di metropolitane in tutte le capitali europee da far saltare in aria contemporaneamente al momento opportuno…
Chiunque fosse dotato di un minimo di lucidità avrebbe colto subito l’assurdità dei Protocolli: a parte ogni altra considerazione, la situazione descritta ricordava certe storie per ragazzi in cui, dopo una rapina, i malviventi si riuniscono nel covo per rievocare con dovizia di particolari le varie fasi del colpo a esclusivo vantaggio del detective nascosto. Eppure i Protocolli vennero presi sul serio in Europa come negli Stati Uniti, dove ebbero tra i più attivi propagandisti Henry Ford. Diffusi in Russia dai pogromtciki (gli istigatori professionali dei pogrom) all’inizio del secolo, e tradotti nelle varie lingue europee nei primi anni venti, divennero presto un classico dell’antisemitismo mondiale. Ad alimentare il loro mito presso gli ambienti reazionari della Russia bianca contribuì la notizia del ritrovamento di una copia del libro di Nilus nell’ul­tima residenza della zarina Aleksandra Fedorovna, prima che questa venisse assassinata assieme al resto della famiglia imperiale il 17 luglio 1918, un dettaglio che alcuni nostalgici del regime zarista interpretarono come l’ennesimo indizio che i Savi di Sion fossero i responsabili ultimi della Rivoluzione d’ottobre.
Fu proprio per vendicare la zarina che, giunto in Germania alla fine del 1918, Fedor Viktorovic Vinberg  – ex colonnello della guardia imperiale fuggito dalla fortezza di Pietro e Paolo dove era stato rinchiuso dai bolscevichi per attività controrivoluzionarie – dedicò tutte le sue energie alla propagazione delle tesi dei Protocolli. Secondo la ricostruzione di Norman Cohn, a Berlino Vinberg conobbe un capitano in pensione, tale Ludwig Müller, al quale consegnò una copia dell’edizione del 1911 del libro di Nilus. Già fervente antisemita, Müller tradusse i Protocolli in tedesco e li pubblicò nel gennaio del 1920 con il titolo di Die Geheimnisse der Weisen von Zion (I segreti dei Savi di Sion). Fu così che i Protocolli fecero il loro ingresso in Germania dove, pochi anni dopo, vennero adottati da Hitler con le conseguenze che sappiamo.


Il modo con cui tutta l’esistenza di un popolo può reggere su una menzogna eterna è posto mirabilmente in chiaro dai «Protocolli dei Savi Anziani di Sion», che gli ebrei perseguitano col loro odio più profondo. «Essi si fondano su una falsificazione», lamenta piagnucolando la «Gazzetta di Francoforte»: ed in ciò sta la miglior prova che sono veri. Ciò che molti ebrei saprebbero fare inconsciamente, è qui consapevolmente dichiarato. Ed è quel che importa. Non importa invece sapere da quale cranio giudaico siano uscite tali rivelazioni; è essenziale però il fatto che essi scoprano con orrenda sicurezza la natura e l’attività del popolo ebraico, e li espongano nei loro rapporti intimi e nei loro scopi finali. La miglior critica è fatta naturalmente dalla realtà. Colui che esamini lo sviluppo storico degli ultimi cento anni, alla luce di questo libro, capirà subito la ragione delle alte grida levate dalla stampa giudaica. Quando questo libro diventerà breviario di tutto il popolo il pericolo ebraico potrà essere considerato scomparso (Hitler 1925, I, cap. 11; epigrafe alla quinta edizione italiana dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, Roma 1938). [...]

 

Il saggio prosegue nel catalogo: L’IDEA DELLA BIBLIOTECA. La collezione di libri antichi di Umberto Eco alla Biblioteca Nazionale Braidense, stampato dall'editore Scalpendi. E' possibile acquistarlo presso le librerie e presso Bottega Brera, il design and bookshop accessibile direttamente dal cortile d’onore del Palazzo di Brera, via Brera 28, Milano.